Il latte e i formaggi sono un’altro esempio (dopo il pane) di come le tecnologie alimentari si siano applicate fin dai tempi più antichi allo scopo di conservare cibo altamente deperibile.
Nel primo episodio della serie parleremo quindi della RICOTTA: buona, fresca, da gustare sia in ricette dolci che salate (a tal proposito nel blog ne trovate un paio).
Iniziamo subito chiarendo che la ricotta non è un formaggio bensì un latticino, in quanto il suo processo produttivo prevede la coagulazione del siero di latte, solitamente ottenuto come scarto dalla coagulazione delle caseine presenti nel latte intero, utilizzato per mozzarelle e vari formaggi a pasta filata e/o stagionati.
Considero personalmente la ricotta affascinante da molti punti di vista, soprattutto perché consiste in un prodotto ottenuto come ciclo ‘zero waste’ dalla ‘scotta’ che veniva cotta nuovamente (da qui il termine ri-cotta). In principio si riscaldava questo siero residuo fino a veder affiorare i granuli, composti per lo più di albumine e globuline. Tuttavia nel tempo con coagulanti acidi di origine vegetale si è riusciti ad accelerare questo processo.
Infatti ad oggi per produrre questo nobile latticino (che ha come base sia latti di bovini che di ovini), si utilizzano acido citrico o acido lattico che fungono da catalizzatori della reazione. I fiocchi, una volta emersi, vengono messi a scolare in fuscelle di plastica così che il liquido in eccesso coli rassodando il composto, il quale solitamente ha un sapore dolce dovuto al lattosio residuo. Dopo 24h il prodotto è pronto per essere servito. Si conserva in frigorifero per un massimo di 4 giorni.
Questo prodotto può essere gustato al naturale, oppure mangiato con pane tostato miele e noci, o usato in varie preparazioni come torte salate, pasta ripiena, crostate, ecc.
Come altri derivati del latte a sua volta esiste in numerose varianti: la ricotta può essere arricchita con frutta secca, pepe, peperoncino; oppure essiccata (è nota come cugina del Cacioricotta) o anche affumicata.
Se vuoi provare a farla a casa,
In Puglia, ne esiste una versione ancora più zero waste, detta Ricotta Forte (ricotta ‘scante' in dialetto) , che altro non è che ricotta fermentata ad opera di lieviti e batteri, i quali conferiscono un sapore leggermente piccante e dal retrogusto amarognolo, molto apprezzato in cucina sia per dare un twist alla pasta, farcire i panzerotti oppure come aperitivo, servita su crostini con acciughe sotto sale.
Ma come si prepara la ricotta forte?
Rispetto alla ricotta fresca, risulta più cremosa ed ha un forte odore simile ai formaggi di capra. In passato veniva prodotta con gli avanzi di ricotta precedenti, lasciati in luogo fresco a 20°-25°C e rimescolata ogni 3 giorni per circa un mese, possibilmente sempre con lo stesso mestolo (lo so a livello igienico adesso può suonare agghiacciante, ma non è diverso dal modo in cui è nata la pasta madre. Bisogna sempre ricordare che non tutti i batteri sono da demonizzare ed anche essi, oramai, fanno parte degli strumenti che i Tecnologi alimentari utilizzano per ottenere dei vantaggi produttivi!).
Dopo circa un mese si può salare e ammorbidire con un po’ di acqua bollente. In vasetti sterili si conserva per circa 6 mesi. Oltre questo tempo il sapore ed il colore possono cambiare tendendo al rosa-giallino, sempre perché il processo fermentativo procede autonomamente.
Questi due prodotti sopracitati sono conosciuti anche in altri paesi: il kopanisti, formaggio greco con protezione d’origine e noto da più di 300 anni alla popolazione locale, il quale è prodotto più o meno con lo stesso procedimento della ricotta forte; oppure l’urdă, famosissimo da tempi antichissimi in Romania.
A tal proposito, l’urda compone un dolce tipico della Romania, che ho avuto il piacere di gustare in un osteria di Bucarest: Il papanasi. Se vuoi provarlo, trovi la ricetta nella sezione dedicata!
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